domenica 15 maggio 2011

Quel pomeriggio di un giorno da cani

Quel pomeriggio di un giorno da cani. Il titolo di un film famosissimo con uno straordinario Al Pacino ma anche il triste destino, reale, di decine e decine di cani impiegati senza pietà nei combattimenti clandestini. E tutto made in camorra. Già, i cani dei clan, costretti a sopravvivere negli incontri all’ultimo sangue organizzati da aguzzini senza scrupoli, il tutto in ossequio a sua maestà denaro. Il fenomeno purtroppo non è nuovo ma negli ultimi tempi sembra essere cresciuto a dismisura. Perché fa soldi facili e perché è sottoposto a controlli minimi. Il giro d’affari legato alle scommesse clandestine sui cani è stato stimato in circa 600 milioni di euro l’anno. La singola scommessa può partire da un minimo di 150-200 euro fino ad arrivare a decine di migliaia nei combattimenti tra i cosiddetti “mostri” , quei cani che vantano al loro attivo più di cinque combattimenti vinti. Le lotte canine possono andare avanti dai trenta a quaranta minuti, anche se sono stati segnalati incontri che sono durati più di cinque ore. Secondo alcune  testimonianze “sul campo” se un animale non mostra particolare inclinazione all’aggressività può  addirittura rischiare di essere abbattuto con un colpo di pistola dal suo stesso proprietario. Il vincitore invece riceve le cure di veterinari o medici o infermieri sul posto. L’animale viene risparmiato alla morte ma la sua vita solitamente non va oltre i quattro anni a causa delle ferite riportate e delle conseguenti mutilazioni di orecchie, naso e in alcuni casi degli arti. Queste battaglie vere e proprie sono il risultato di violentissime forme di addestramento, vere e proprie torture, inflitte ai cani fin da cuccioli. Mastiffs, pitt bull e boxer le razze più utilizzate in un settore criminale sempre più in espansione. Basterebbe tutto questo a sintetizzare il livello di efferatezza raggiunto da alcuni individui che chiamare uomini appare un pallido eufemismo. A tutto questo marciume si aggiungono contorni ancora più agghiaccianti. Questi incontri, queste “palestre del massacro” sono state delegate dai clan camorristici (specie quelli dell’area nord e dei quartieri Poggioreale e Barra) ai rom che, nelle loro bidonville personali, “allevano” gli animali a suon di calci e di violenza gratuita. Templi di degrado dove non c’è norma igienica né alcuna legge che tuteli quelli che dovrebbero essere “i migliori amici dell’uomo”. Non solo. Per incattivire ancor di più l’animale, lo stesso viene eccitato somministrandogli dosi massicce di cocaina brown, un tipo di cocaina tagliata con polvere da sparo che, una volta introdotta nell’organismo crea effetti psicosomatici considerevoli provocando soprattutto un’alterazione del comportamento tendente all’aggressività. Un aspetto da considerare con molta attenzione visto che, negli ultimi tempi, tale stupefacente appare essere tra i più richiesti sul mercato. Sostanza ottenuta attraverso un mix micidiale che sui malcapitati animali ha un effetto devastante. Un dato allarmante testimoniato da numerosi veterinari secondo i quali “l’uso di tali sostanze produce negli animali effetti tre volte più gravi rispetto al loro utilizzo negli esseri umani. L’animale subisce dei disturbi all’apparato respiratorio e forti implicazioni dal punto di vista comportamentale. Aggressività, ipertensione e nervosismo cronico”. Come  a dire vita da cani. In questo caso senz’altro vero. Purtroppo.

sabato 14 maggio 2011

Sexy bingo

Vendersi l’anima al diavolo. A suon di puntate. Un triste gioco di parole ma quanto mai veritiero se il riferimento è a diverse sale giochi e sale bingo del quartiere San Carlo all’Arena e dell’hinterland partenopeo (Mugnano e Melito), teatro di singolari episodi di degrado sociale e di precarietà non solo economica ma morale. Gioco e sesso, un binomio pericoloso, che trascina con sé intere famiglie distruggendole dall’interno e portandogli via tutto, soldi, immobili, dignità. Sì perché protagoniste di questa singolare vicenda sono moltissime casalinghe, le cosiddette “madri di famiglia”, che spinte da un’irrefrenabile malattia del gioco spendono in maniera cospicua interi stipendi davanti le macchinette da videopoker, nei bingo e nei macchinari di black jack posti nelle sale giochi. Spendono così tanto da indebitarsi con i proprietari di tali esercizi commerciali o con occasionali strozzini del gioco che prestano loro soldi. Indebitate a tal punto da dover ripagare i loro debiti con prestazioni sessuali, sesso di bassa lega consumato fugacemente nei bagni e nei magazzini di queste sale bingo; moltissime  le casalinghe che stanche della solita routine e sperando di poter arrotondare un po’ lo stipendio spendono migliaia di euro nelle sale bingo, un fiume di soldi che si trasforma in debiti di gioco non facilmente onorabili; e da lì la scelta di vendere il proprio corpo per evitare che la notizia trapeli all’esterno delle sale giochi. Una “pratica”  degradante che non è limitata ad alcuni casi sporadici ma che ha assunto negli ultimi tempi proporzioni enormi tant’è che molti sono coloro che giurano di aver assistito in prima persona a questa “vendita a buon mercato”. Come Antonio, assiduo giocatore che racconta ciò che ha visto. “Molte sono le casalinghe che frequentano le sale bingo. Ancora di più quelle che giocano moltissimi soldi davanti le macchinette perdendo tutto o quasi. La maggior parte di queste donne per ripagare i debiti così accumulati decide di concedersi nei bagni. Ho assistito personalmente ad una di queste scene. Molte donne si indebitano con persone che frequentano le sale giochi con il solo scopo di prestare soldi da farsi restituire “per natura”. Sono dei veri usurai che non chiedono soldi ma favori sessuali. E’ uno schifo che fa capire quanto possa essere forte la malattia del gioco”. Un morbo contagioso che si insinua in punta di piedi ma che, una volta conquistata la “vittima” di turno, non molla la presa. Per Napoli l’ennesimo scandalo sessuale, un altro sexy gate dopo la notizia trapelata nei giorni scorsi relativa alle prostitute e ai trans gender  che frequentano la zona della stazione centrale che, in spregio al buon senso e alla morale, consumano i loro rapporti all’aria aperta, sui cofani delle macchine parcheggiate o addirittura sui marciapiedi. Incuranti di tutto e tutti. Come le casalinghe protagoniste di questa singolare vicenda, all’apparenza irreprensibili madri, mogli, sorelle senza grilli per la testa. Donne che da malate del gioco si trasformano in vere e proprie schiave.

mercoledì 11 maggio 2011

Quando il diavolo ti ruba l'anima...

Vendersi l’anima al diavolo. A suon di puntate. Un triste gioco di parole ma quanto mai veritiero se il riferimento è a diverse sale giochi e sale bingo del quartiere San Carlo all’Arena e dell’hinterland partenopeo (Mugnano e Melito), teatro di singolari episodi di degrado sociale e di precarietà non solo economica ma morale. Gioco e sesso, un binomio pericoloso, che trascina con sé intere famiglie distruggendole dall’interno e portandogli via tutto, soldi, immobili, dignità. Sì perché protagoniste di questa singolare vicenda sono moltissime casalinghe, le cosiddette “madri di famiglia”, che spinte da un’irrefrenabile malattia del gioco spendono in maniera cospicua interi stipendi davanti le macchinette da videopoker, nei bingo e nei macchinari di black jack posti nelle sale giochi. Spendono così tanto da indebitarsi con i proprietari di tali esercizi commerciali o con occasionali strozzini del gioco che prestano loro soldi. Indebitate a tal punto da dover ripagare i loro debiti con prestazioni sessuali, sesso di bassa lega consumato fugacemente nei bagni e nei magazzini di queste sale bingo; moltissime  le casalinghe che stanche della solita routine e sperando di poter arrotondare un po’ lo stipendio spendono migliaia di euro nelle sale bingo, un fiume di soldi che si trasforma in debiti di gioco non facilmente onorabili; e da lì la scelta di vendere il proprio corpo per evitare che la notizia trapeli all’esterno delle sale giochi. Una “pratica”  degradante che non è limitata ad alcuni casi sporadici ma che ha assunto negli ultimi tempi proporzioni enormi tant’è che molti sono coloro che giurano di aver assistito in prima persona a questa “vendita a buon mercato”. Come Antonio, assiduo giocatore che racconta ciò che ha visto. “Molte sono le casalinghe che frequentano le sale bingo. Ancora di più quelle che giocano moltissimi soldi davanti le macchinette perdendo tutto o quasi. La maggior parte di queste donne per ripagare i debiti così accumulati decide di concedersi nei bagni. Ho assistito personalmente ad una di queste scene. Molte donne si indebitano con persone che frequentano le sale giochi con il solo scopo di prestare soldi da farsi restituire “per natura”. Sono dei veri usurai che non chiedono soldi ma favori sessuali. E’ uno schifo che fa capire quanto possa essere forte la malattia del gioco”. Un morbo contagioso che si insinua in punta di piedi ma che, una volta conquistata la “vittima” di turno, non molla la presa. Per Napoli l’ennesimo scandalo sessuale, un altro sexy gate dopo la notizia trapelata nei giorni scorsi relativa alle prostitute e ai trans gender  che frequentano la zona della stazione centrale che, in spregio al buon senso e alla morale, consumano i loro rapporti all’aria aperta, sui cofani delle macchine parcheggiate o addirittura sui marciapiedi. Incuranti di tutto e tutti. Come le casalinghe protagoniste di questa singolare vicenda, all’apparenza irreprensibili madri, mogli, sorelle senza grilli per la testa. Donne che da malate del gioco si trasformano in vere e proprie schiave.

lunedì 9 maggio 2011

Avanzata a colpi di Videopoker a Ponticelli

Un’avanzata in stile napoleonico, azioni da guerra lampo da compiere nel silenzio e, una penetrazione discreta, graduale ma dall’efficacia notevole. E’ la colonizzazione del business dei videopoker e delle slot machine nella zona orientale di Napoli da parte del clan Mazzarella, un’avanzata costante che potrebbe aprire nuovi scenari nella mappatura geopolitica della criminalità organizzata. Un business da capogiro, affari dai troppi zeri che fanno gola a molti specie in questo momento nel quale il sodalizio criminale dei Sarno di Ponticelli appare snervato e dissanguato dalla scure dello Stato che, attraverso l’azione incessante di Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza sembra aver  indebolito cronicamente se non debellato completamente l’azione del clan. E’ in questo contesto che si inserisce l’azione di infiltrazione criminale degli uomini del rione Luzzatti che sembrano aver occupato le caselle lasciate aperte dopo gli arresti, i successivi pentimenti, le perquisizioni  e le confische di beni “subite” negli ultimi mesi dai Sarno.
Ponticelli, Lotto zero, Cercola e gli altri piccoli comuni ad est del capoluogo partenopeo, luoghi che fino a poco tempo fa obbedivano alla logica criminale e alle direttive impartite dalla cosca capeggiata da Ciro Sarno il sindaco, la cui parola era qui vera e propria legge, sembrano essere adesso à la mercè di altri. I Mazzarella, del resto, già in passato hanno dimostrato una straordinaria capacità di inserirsi attraverso i propri uomini là dove il tessuto criminale delle cosche cosiddette autoctone appariva notevolmente indebolito. E’ successo così nella zona del Pallonetto di Santa Lucia, a Forcella e tra i vicoli del centro storico e lo stesso scenario sembra ripresentarsi ora a scapito del sodalizio (i Sarno appunto) che ha nel Rione De Gasperi la propria roccaforte. In questo senso il business dei videopoker e delle macchinette elettroniche è veicolo di questi tentativi di colonizzazione. Vi è da aggiungere poi che ciò che sta accadendo nella zona orientale di Napoli non costituisce un fatto isolato ma si inserisce in una strategia di respiro più ampio che vede i clan del napoletano, e i Mazzarella in particolare, in marcia costante verso i territori della provincia, una marcia tesa alla conquista del mercato dei videopoker. Strategia che ha pagato, e bene, a San Giorgio a Cremano dove i bar e i circoli ricreativi si sono visti costretti a cedere alle “pressioni” criminali dei gregari dei Mazzarella- D’Amico. Disegno criminale che punta anche più a sud, ad Ercolano, dove i partenopei hanno cominciato ad intralciare il lavoro dei clan locali, gli Ascione e i Birra. L’avanzata dei Mazzarella nel regno che fu di Ciro Sarno sembra rispondere alla logica dell’accordo. Sì perché anche se il vecchio padrino insieme ad altri fratelli (Vincenzo e Giuseppe) è passato dalla parte dello Stato, un altro fratello Luciano è rimasto irremovibile sulla sua scelta di vita criminale aprendo in tal modo anche una falla nella famiglia. Molti gregari e manovalanza sembrano aver appoggiato la scelta di quest’ultimo di non pentirsi e anzi, è ipotizzabile concretamente che una parte di questi elementi abbia cercato un accordo sottobanco con esponenti dei Mazzarella, intesa riguardante appunto il business sempre fiorente delle slot machine. Un fiume di miliardi da spartirsi che ridisegna la mappa del potere criminale.

Nell'inferno di Poggioreale

Benvenuti all’Inferno. Non è il titolo di un film, né dell’ultimo bestseller uscito in libreria ma la fotografia reale, impietosa delle condizioni di vita all’interno del carcere di Poggioreale.  Il carcere più grande della Campania, costruito nel 1914, è sempre più specchio reale della situazione critica attraversata dal sistema penitenziario campano e nazionale.
L’Istituto, diviso in  otto Padiglioni che prendono i nomi delle maggiori città italiane, neanche a dirlo è al collasso. Sovraffollamento, condizioni igienico-sanitarie precarie, mancanza di effettivi con il caldo torrido di questi giorni a fare da amara cornice tant’è che all’interno della casa circondariale è nata la figura dell’ “asciugamanista”, la persona detenuta  che, in mancanza di ventilatori e di condizionatori, inzuppa con un telo bagnato le sbarre rese incandescenti dalla temperatura.
I dati sono anch’essi impietosi. Le persone detenute al 30 giugno 2010 sono 2710 a fronte di una capienza regolamentare di 1347; vi sono 1363 persone oltre la soglia consentita costrette a vivere in condizioni intollerabili e inimmaginabili. Nei due reparti maggiormente affollati, il Padiglione Napoli (presenti 455 a fronte di una capienza di 240) e il Padiglione Milano (presenti 385/capienza 200) in una cella si arriva sino a 12-14 detenuti, con i letti a castello impilati per tre quasi fossero delle piccole nicchie. La situazione igienico-sanitaria è ancora peggiore se si pensa che ad esclusione del Padiglione Firenze dove le docce sono comprese nelle celle, negli altri esse sono solo esterne e sono inoltre accessibili soltanto due volte a settimana causa sovraffollamento. A questo poi bisogna aggiungere che vi è una sola cucina per l’intero carcere. Il numero di detenuti presenti oltre la soglia minima consentita e i relativi problemi di sicurezza interna che ne derivano generano anche una riduzione delle ore d’aria, riduzione non compensata da attività formative e scolastiche che sono del tutto assenti, attività invece più che mai necessarie per permettere ai detenuti di reinserirsi di nuovo nel tessuto sociale una volta scontata la pena. Sembra di essere su un vulcano pronto ad esplodere. Un caso su tutti quello del suicidio di Angelo Russo, un sofferente psichico detenuto a Poggioreale perché accusato di aver usato violenza nei confronti di una ragazza, anche lei sofferente psichica, nel dipartimento di salute mentale dove entrambi erano ospiti. Nel marzo scorso, dopo aver manifestato chiari segni di crisi Angelo Russo, detenuto in isolamento, si è tolto la vita. Un episodio drammatico che solleva una serie di questioni su cui è importante riflettere, questioni tutte riguardanti le crepe del sistema penitenziario con Poggioreale al centro della scena. Un carcere dove a partire dalle 18.00 la vita si sospende, i blindati si chiudono e gli agenti deputati alla gestione delle ore notturne si riducono a poche unità. La morte di Angelo Russo è esempio lampante dei limiti strutturali e di organico di un Istituto penitenziario che dovrebbe essere un modello per tutti gli altri.
Una situazione critica, sconcertante, da girone dantesco. Non è un libro né una fiction, questa è Poggioreale.

Lo scempio di I traversa privata Ippolito, quartiere Secondigliano

“Per noi l’emergenza non è mai finita”. Questo il senso della protesta dei residenti della Traversa Privata Prima Ippolito, quartiere Secondigliano, area nord di Napoli. Una situazione divenuta impossibile, al limite della tollerabilità. Il riferimento è ai cumuli di rifiuti riversati sui marciapiedi della strada divenuta una discarica a cielo aperto, una zona grigia di illegalità diffusa, deposito improvvisato di qualsiasi rimasuglio. Per porre rimedio a questa situazione che attanaglia e affligge gli abitanti della traversa e quelli della strada adiacente, via Roma Verso Scampia, il necessario intervento ieri mattina dell’Unità operativa della Polizia Municipale di Napoli che, in collaborazione con l’Asia alcuni esponenti politici, ha dato avvio all’operazione Task Force, un’azione volta allo smaltimento e alla raccolta delle decine e decine di rifiuti divenuti ormai una presenza più che ingombrante per i cittadini del quartiere. Residenti stanchi per una situazione che si trascina da troppo tempo, aggravata dalla presenza in zona di alcune fabbriche che il più delle volte smaltiscono illegalmente in strada i residui del loro ciclo produttivo. Uno spettacolo ignobile ed indecoroso che oltre alle strade e ai marciapiedi ferisce e indebolisce l’immagine della città. Il caso dei rifiuti in questo angolo di Napoli origina purtroppo anche altre problematiche: con il caldo l’odore dei rifiuti diviene insopportabile ed erroneamente c’è sempre qualcuno che crede di risolvere il problema dando fuoco ai cumuli di spazzatura. Oltre ai fumi nocivi sprigionati dalle fiamme che, il più delle volte bruciano materiali plastici altamente tossici, si creano disagi al traffico cittadino, si originano situazioni pericolose. In diverse occasioni i rifiuti si sono ammassati davanti ai tubi dell’acqua e in presenza dei numerosi roghi appiccati su questa strada si sono registrati dei guasti agli impianti idrici e conseguenti difficoltà al normale funzionamento dell’afflusso di acqua potabile per i residenti della zona. Alcuni mesi fa inoltre le fiamme hanno raggiunto i semafori situati all’imbocco della traversa e i tetti di un garage che si trova proprio a ridosso della strada, garage che custodisce delle autovetture, sgomberate in tutta fretta per evitare un peggioramento della situazione.
I problemi sono anche logistici. La traversa infatti è l’unica area di accesso a numerosi parchi privati e fabbricati posti alle spalle di via Roma Verso Scampia, un’area dove i mezzi deputati alla raccolta dei rifiuti non arrivano, una zona dominata dall’abusivismo edilizio e da illegalità diffusa. Molti rifiuti provengono da lì e ne costituiscono prova le diverse bollette ritrovate tra l’immondizia intestate a presunti titolari delle piccole attività industriali che pullulano in quest’area.  L’operazione Task Force si inserisce in tale scenario essendo un serio tentativo per riappropriarsi di questa fetta di territorio ed evitare che esso rimanga terra di nessuno. La Polizia Municipale spera in questo modo di bissare i risultati positivi raggiunti in altre aree della periferia settentrionale della città; altre situazioni limite, dove il fattore comune sembra essere la volontà di strappare tali zone all’anarchia civica e riportarle a livelli di normale vivibilità, quella vivibilità che deve essere restituita alla popolazione troppe volte calpestata di queste aree.

domenica 8 maggio 2011

Il prezzo della droga

Un fiume, un mare di droga. E a prezzi stracciati. Il listino della particolarissima vendita al dettaglio delle sostanze stupefacenti ha in Napoli il suo shop market privilegiato. Una grande distribuzione del malaffare che ha reso il capoluogo partenopeo, insieme a Milano, un Eldorado di illegalità con i clan della camorra a spartirsi intere fette di territorio in ossequio a “sua maestà droga”. Le tariffe sono variegate e cambiano di quartiere in quartiere, di rione in rione. Ogni “zona d’ombra” costituita dalla piazza di spaccio ha il suo particolare “pezzo forte”, sostanza stupefacente venduta a prezzi accessibili e di gran lunga inferiore a quella di altri quartieri. Una singolare guerra commerciale, combattuta ogni giorno, che farebbe impallidire un broker di Wall street. Una guerra combattuta con ogni mezzo e in spregio alla vita: l’unica cosa che conta è il far soldi, milioni di euro che rimpinguano le casse dei sodalizi criminali.  Al primo posto di questa speciale classifica vi è l’area nord cittadina (Scampia, Secondigliano e i comuni contigui), la Mecca di trafficanti e pusher dove è il listino prezzi a parlar chiaro. Nelle principali piazze di spaccio (Lotto T di Scampia, via Ghisleri, Monterosa, Rione dei fiori, via Dante, Rione San Gaetano) la scelta è ampia e i prezzi sono di gran lunga più bassi  rispetto a quelli praticati da altri quartieri. Anzi, molti clan della città vengono a rifornirsi proprio qui, un tempo feudo incontrastato del verbo dei Di Lauro che hanno impiantato al mercato della droga logiche di management aziendale. A Secondigliano e dintorni un grammo di cocaina può costare anche 10 euro ( a fronte di una media nazionale che si attesta sui 24-26 euro).  Prezzi al ribasso praticati anche per altre sostanze come l’eroina bianca dove un “quartino” cioè 0,25 grammi vale 10-12 euro e la marijuana con costi che vanno da 3 a 5 euro al dettaglio per grammo. Un po’ più elevato il costo della ketamina ( 13-16 euro per grammo) e  soprattutto del micidiale kobret, il prodotto che va per la maggiore, eroina di scarto, ottenuta saltando la fase di acetificazione che trasforma l’eroina di base in eroina cloridrato (cioè iniettabile) e assunta per inalazione con effetti di gran lunga più inquinanti della sostanza di base. Il prezzo di questo mix letale è di 13 euro per grammo. Un vero e proprio discount del malaffare dove il tossicodipendente ha ampia scelta. Prezzi diversi ma lo stesso mercanteggiare sulla morte per il centro storico. Il “ventre molle” di Napoli, da sempre al centro di guerre e faide di camorra, è sempre stata considerata una piazza di spaccio strategica per lo smistamento delle sostanze stupefacenti. A Forcella tra via Sant’Agostino alla Zecca e via Tribunali il mercato è dominato soprattutto da cocaina (12-13 euro al grammo) e hashish (1 grammo a 5-6 euro). Alla Duchesca invece oltre alle quotatissime eroina e cocaina si possono trovare anche pasticche di ecstasy ( una pasticca  costa tra i 10 e 15 euro al dettaglio). Alla Sanità nella “storica” piazza di spaccio di via Santa Maria Antaesecula l’articolo “di punta” è la marijuana dove si può trovare un grammo al dettaglio anche al costo di 3 euro a fronte di un prezzo al chilogrammo di 1000 euro. Qui come a San Carlo all’Arena i prezzi sono notoriamente bassi perché i fornitori vengono da Secondigliano. Altra logica domina invece i mercati del Pallonetto di Santa Lucia considerato dagli inquirenti il mercato più importante per la vendita di marijuana ( il prezzo è qui un po’ più alto, dai 5 ai 7 euro al grammo, perché considerata base di approvvigionamento dei rampolli della cosiddetta Napoli “bene”). Spostandoci verso la parte occidentale della città, al rione Traiano, negli ultimi tempi si è sviluppato nelle palazzine popolari della zona un fiorente mercato che ha nella cocaina “l’articolo” più richiesto. Addirittura in alcune piazze viene venduta a 9 euro al grammo. Una svendita insomma e poco importa se qui, come  a Secondigliano, la sostanza viene tagliata con calce, gesso e residui di neon. Quello che conta è il business, un business a più zeri che cinicamente cresce divorando e distruggendo vite umane. Luoghi dove ogni  tossicomane cerca di trovare sollievo ma dove compra a piccole dosi tasselli della propria fine.


Stefano Di Bitonto

Racket della Madonna dell'Arco


Tempo di crisi economica, di difficoltà e di stretta finanziaria. E non solo per il normale cittadino. Accade così che la criminalità organizzata, attraverso le sue frange più intraprendenti ed ingegnose, riesca a piazzare i propri tentacoli in ambiti inimmaginabili. E’ il cosiddetto “pizzo soft”, racket che si aggiunge alle tradizionali attività delinquenziali dei clan della camorra (droga, estorsioni ad attività commerciali, videopoker), un racket meno appariscente ma non meno subdolo; è in questo periodo post-natalizio che una di tali manifestazioni di ingegno criminale la fa da padrone: il racket della Madonna dell’Arco. Un culto religioso, antichissimo, incentrato sul pellegrinaggio dei fedeli al Santuario della Madonna nei pressi della cittadina di Sant’Anastasia. Questo pellegrinaggio, il cui culmine è nel periodo di Pasqua, viene preceduto nei primi mesi dell’anno da una raccolta fondi da parte dei fedeli, chiamati fujenti che, riuniti in compagnie, girano di rione in rione chiedendo offerte per opere benefiche. Non tutti sanno però che dietro queste “paranze” si nasconde in molti casi la longa manus della camorra. Un vero e proprio racket che finanzia le attività illegali del clan e contribuisce a sostenere le famiglie degli affiliati detenuti. Un welfare del malaffare e forse la maggiore entrata del malefico sistema previdenziale messo in piedi dai sodalizi criminali. Non c’è territorio che sia immune da tale piaga. Le “compagnie fasulle” più importanti si trovano nell’area orientale di Napoli e nei paesi vesuviani (lì dove il culto ha origine) ma anche in alcuni quartieri del centro (Duchesca e Mercato, Stella-San Carlo all’Arena, San Lorenzo) il fenomeno ha preso piede ormai da tempo. Uomini e donne, vestiti di bianco con una fascia rossa e blu a tracolla, girano di quartiere in quartiere chiedendo offerte, cantando e portando sulle spalle l’immagine sacra della Madonna; non semplici devoti ma veri esattori del crimine che, dietro il paravento del culto religioso, riscuotono somme che con opere pie hanno ben poco a che fare. Un fenomeno fortemente stigmatizzato da alcuni parroci coraggiosi, ormai stanchi di questa pratica che unisce sacro e profano. Tra essi padre Carmine, parroco di una chiesa del centro storico per il quale “E’ una pratica vergognosa e ignominiosa. Un culto religioso, per giunta antichissimo, che fa parte del nostro patrimonio culturale utilizzato come merce da gente senza ritegno e senza timore di Dio. Anche nel mio quartiere sono venuti a chiedere le offerte, ho invitato i miei fedeli a dir di no”. Spostandoci nei quartieri dell’area nord la condanna è ancora più forte. Una forte intransigenza si legge nelle parole di padre Gaetano.“A mio avviso un crimine gravissimo perché compiuto sfruttando la buona fede dei devoti, specie le persone più anziane e quelle maggiormente impressionabili. Peggio del normale pizzo che si chiede ai negozianti perché protetto dal paravento della religione”. Non si meraviglia più di tanto un altro religioso, frate Emanuele secondo il quale “tale fenomeno è specchio dei tempi, dove il guadagno facile la fa da padrone. Deve far riflettere soprattutto il fatto che in tali paranze la maggior parte dei battenti sia costituita da giovanissimi che non si vergognano affatto di riscuotere somme non per il culto ma in nome e per conto di questo o quel clan“. Come a dire non c’è più religione.

Sexy gate


Sexy gate in salsa partenopea. Non è il titolo dell’ultimo film uscito nelle sale cinematografiche né l’ultimo best seller da acquistare in libreria ma il resoconto, impietoso, degradante, di ciò che avviene in piena notte nella zona della stazione di Napoli, pieno centro cittadino, teatro suo malgrado di avvenimenti ad alto tasso erotico degni di un “red light district” di Amsterdam. Corso Novara, corso Arnaldo Lucci, via Giuseppe Pica, via Silvio Spaventa, di giorno indirizzi come tanti, di notte strade che si trasformano in una “zona rossa”, regno di prostitute e dei loro clienti che, in spregio al buon senso e alla morale comune, consumano i loro fugaci rapporti sui marciapiedi, nel buio dei vicoli, appoggiati alle macchine parcheggiate, insomma en plein air, incuranti di tutto e tutti creando così  una situazione divenuta per i residenti oramai insopportabile. La zona della stazione storicamente è stata sempre coacervo di tossicodipendenti, prostitute e di gente che “vive ai margini”, ma negli ultimi tempi, lamentano gli abitanti della zona, il degrado e il senso civico è caduto a picco. Ogni sera per le vie del quartiere non solo va in scena questo via vai continuo di nigeriane, ucraine, rumene, transgender che, per pochi euro, vendono i loro corpi e le loro stesse esistenze ma capita anche di assistere “in presa diretta” alla consumazione dei  loro rapporti sessuali. Un qualcosa che si ripete ogni notte fino all’alba trasformando questa zona di Napoli in una piccola enclave di trasgressione. Furiosi, neanche a dirlo, i residenti e coloro che nella zona hanno un esercizio commerciale. Tra essi Pasquale, titolare di una tabaccheria. “E’ uno schifo vero e proprio; abito in zona e qualche volta di mattina presto mi è capitato di assistere personalmente a prostitute che si concedevano ai clienti stese sul marciapiede incuranti di ogni possibile norma igienica, incuranti del buon senso, senza vergogna insomma. Senza contare che molte persone hanno visto le stesse consumare con i clienti strisce di cocaina sui cofani delle autovetture parcheggiate. Abbiamo allertato la polizia e chi di dovere, speriamo che la cosa non si ripeta mai più”. Stessa amarezza nelle parole di Paola, residente in via Giuseppe Pica. Nelle sue parole il racconto dettagliato di ciò che avviene quando la città dorme. “Ho visto personalmente prostitute consumare rapporti stese sulle macchine e agli angoli dei marciapiedi. Né loro né i clienti fanno caso  a coloro che possono passare e notarli. E’ un indecenza senza considerare poi che la mattina presto portiamo i bambini a scuola e la strada è letteralmente invasa da preservativi e biancheria intima dimenticata lì. Cosa possiamo raccontare ai nostri figli? Faremo un esposto alla Municipalità e allerteremo chi di competenza. Non possiamo rimanere ostaggio di queste persone e aver paura di tornare un po’ più tardi la sera per timore di poter fare brutti incontri”. Testimonianze del quotidiano, purtroppo. Napoli che diviene così retaggio di sesso a basso costo e degrado continuo. Come se non bastassero spazzatura a iosa e criminalità a turbare la vita dei cittadini. Anche questo sarebbe veramente troppo.
                                                                                                Stefano Di Bitonto

venerdì 6 maggio 2011

Manifesti mortuari e droga


Geni del male. Quando l’ingegno criminale ne sa una più del diavolo. L’ultima indiscrezione riguardante l’inventiva dei clan partenopei ha a che fare con il business a più zeri delle sostanze stupefacenti. Un business redditizio che, proprio per la gigantesca mole d’affari che porta ogni giorno nelle casse dei sodalizi criminali, ha bisogno sempre più di nuove  tecniche e strategie di approvvigionamento e di distribuzione. L’arrivo e lo smistamento nelle varie piazze di spaccio della “polvere magica” (cocaina) e delle altre sostanze (eroina, haschish e marijuana su tutte) rappresentano un’operazione delicata che comporta rischi altissimi per i narcotrafficanti e per coloro impegnati in tale “commercio”.
In passato l’annuncio dell’arrivo della preziosa merce avveniva attraverso le cosiddette “chiamate”, cioè fuochi d’artificio che improvvisamente illuminavano le serate in alcuni quartieri ad avvisare affiliati e gregari, una tecnica via via sempre meno utilizzata visti i continui interventi delle forze dell’ordine tesi a smantellare questo particolare import-export del malaffare. Proprio per evitare altri intoppi alla catena di montaggio e alle “pubbliche relazioni” del narcotraffico alcuni clan del centro cittadino (San Carlo all’Arena e Poggioreale) e dell’area orientale (Barra, San Giovanni a Teduccio) hanno compiuto un “salto di qualità” notevole sperimentando una tecnica già proficuamente adottata dalla ‘Ndrangheta, una pratica che interessa direttamente le agenzie per le pompe funebri, un’inventiva ingegnosissima che potrebbe stravolgere gli equilibri e gli assetti criminali cittadini. Anche le cosche calabresi in passato hanno dovuto reinventare il business delle sostanze stupefacenti. Alcuni anni fa l’arrivo dei carichi di droga avveniva attraverso scritte con riferimenti biblici sui cartelli autostradali (Salerno - Reggio Calabria e autostrada ionica in primis). Negli ultimi tempi si sono cercate altre modalità di annuncio. E quest’ultime passano attraverso il campo di attività delle pompe funebri.
Si cercano agenzie compiacenti o che sono in odore di malavita: queste ultime fungono da tramite attraverso i manifesti mortuari che affigono ai muri. Quest’ultimi possono riguardare nomi fittizi, inventati, cioè persone in realtà mai esistite e quindi mai decedute, oppure persone decedute per davvero sul cui manifesto di morte ci sono riferimenti ad “amici affranti”, “amici di sempre” o “cugini tutti”. Riferimenti che puzzano di criminalità. Dietro questi nomi infatti molte volte viene indicata il tipo di droga arrivata, il taglio, la qualità e in molti casi anche il prezzo e la provenienza. E soprattutto viene indicato il luogo dove la droga arriverà. Una tecnica senza dubbio innovativa che non comporta rischi e che riduce al minimo le possibilità di contrasto per le forze dell’ordine. Intelligenze di livello superiori purtroppo prestate alla criminalità, segnali inequivocabili di una piovra camorristica che con i suoi innumerevoli tentacoli sfrutta ogni possibilità per arricchire la sua sete di potere.