Tempo di crisi economica, di difficoltà e di stretta finanziaria. E non solo per il normale cittadino. Accade così che la criminalità organizzata, attraverso le sue frange più intraprendenti ed ingegnose, riesca a piazzare i propri tentacoli in ambiti inimmaginabili. E’ il cosiddetto “pizzo soft”, racket che si aggiunge alle tradizionali attività delinquenziali dei clan della camorra (droga, estorsioni ad attività commerciali, videopoker), un racket meno appariscente ma non meno subdolo; è in questo periodo post-natalizio che una di tali manifestazioni di ingegno criminale la fa da padrone: il racket della Madonna dell’Arco. Un culto religioso, antichissimo, incentrato sul pellegrinaggio dei fedeli al Santuario della Madonna nei pressi della cittadina di Sant’Anastasia. Questo pellegrinaggio, il cui culmine è nel periodo di Pasqua, viene preceduto nei primi mesi dell’anno da una raccolta fondi da parte dei fedeli, chiamati fujenti che, riuniti in compagnie, girano di rione in rione chiedendo offerte per opere benefiche. Non tutti sanno però che dietro queste “paranze” si nasconde in molti casi la longa manus della camorra. Un vero e proprio racket che finanzia le attività illegali del clan e contribuisce a sostenere le famiglie degli affiliati detenuti. Un welfare del malaffare e forse la maggiore entrata del malefico sistema previdenziale messo in piedi dai sodalizi criminali. Non c’è territorio che sia immune da tale piaga. Le “compagnie fasulle” più importanti si trovano nell’area orientale di Napoli e nei paesi vesuviani (lì dove il culto ha origine) ma anche in alcuni quartieri del centro (Duchesca e Mercato, Stella-San Carlo all’Arena, San Lorenzo) il fenomeno ha preso piede ormai da tempo. Uomini e donne, vestiti di bianco con una fascia rossa e blu a tracolla, girano di quartiere in quartiere chiedendo offerte, cantando e portando sulle spalle l’immagine sacra della Madonna; non semplici devoti ma veri esattori del crimine che, dietro il paravento del culto religioso, riscuotono somme che con opere pie hanno ben poco a che fare. Un fenomeno fortemente stigmatizzato da alcuni parroci coraggiosi, ormai stanchi di questa pratica che unisce sacro e profano. Tra essi padre Carmine, parroco di una chiesa del centro storico per il quale “E’ una pratica vergognosa e ignominiosa. Un culto religioso, per giunta antichissimo, che fa parte del nostro patrimonio culturale utilizzato come merce da gente senza ritegno e senza timore di Dio. Anche nel mio quartiere sono venuti a chiedere le offerte, ho invitato i miei fedeli a dir di no”. Spostandoci nei quartieri dell’area nord la condanna è ancora più forte. Una forte intransigenza si legge nelle parole di padre Gaetano.“A mio avviso un crimine gravissimo perché compiuto sfruttando la buona fede dei devoti, specie le persone più anziane e quelle maggiormente impressionabili. Peggio del normale pizzo che si chiede ai negozianti perché protetto dal paravento della religione”. Non si meraviglia più di tanto un altro religioso, frate Emanuele secondo il quale “tale fenomeno è specchio dei tempi, dove il guadagno facile la fa da padrone. Deve far riflettere soprattutto il fatto che in tali paranze la maggior parte dei battenti sia costituita da giovanissimi che non si vergognano affatto di riscuotere somme non per il culto ma in nome e per conto di questo o quel clan“. Come a dire non c’è più religione.
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